Cory Doctorow in Italiano

22 dicembre 2009

Printcrime: Crimini a Mezzo Stampa

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Titolo originale: “Printcrime” – http://craphound.com/?p=573

Licenza CC: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/

Printcrime: Crimini a Mezzo Stampa
di Cory Doctorow


Gli sbirri distrussero la stampatrice di mio padre quando avevo otto anni.
Ricordo l’odore che faceva, come di pellicola in un microonde, e insieme lo
sguardo di feroce concentrazione di Pa’ mentre la riempiva di gelatina
fresca, e la sensazione calda di “appena sfornato” degli oggetti che ne
uscivano.
Gli sbirri sfondarono la porta con i manganelli sguainati; uno di loro
recitava i termini del mandato con un megafono. Uno dei clienti di Pa’
l’aveva venduto. La ipolizia l’aveva pagato con farmaci da ricchi —
aumentatori di performance, supplementi mnemonici, booster di
metabolismo. Era il tipo di roba che da banco costava una fortuna; il tipo di
roba che ti potevi stampare in casa, se ti volevi prendere il rischio di
ritrovarti in cucina una folla improvvisa di grossi corpi nerboruti che
spaccano ogni persona o cosa gli si pari dinanzi agitando duri manganelli.
Distrussero la cassa della nonna, quella che si era portata dal vecchio paese.
Spaccarono il piccolo frigorifero e l’unità di purificazione vicino alla
finestra. Il mio uccellino scampò alla morte rintanandosi in un angolo della
gabbietta mentre un grosso piede ne aveva trasformato una buona parte in
un triste ammasso di filo di stampa, premendo con lo stivale.
Pa’. Cielo, che gli fecero. Quando aveva finito, sembrava avesse lottato con
un’intera squadra di rugby. Lo portarono fuori dalla porta e lasciarono che la
gentaglia dei giornali lo vedesse bene mentre lo sbattevano nell’auto. Un
portavoce intanto diceva al mondo come il contrabbando organizzato di Pa’
fosse responsabile per almeno venti milioni di danni e come Pa’, persona
maligna e disperata, avesse resistito all’arresto.
Lo vidi dal telefono, da quello che rimaneva del salotto, lo guardai dallo
schermo e mi chiesi come, come fosse possibile che qualcuno, guardando il
nostra piccola casetta e la nostro malandata terribile proprietà, potesse
scambiarla per la casa di un boss del crimine organizzato. Ci tolsero la
stampatrice, ovviamente, e la mostrarono alla gentaglia dei giornali come
un trofeo. Il suo altarino nel cucinotto divenne un orribile vuoto. Quando
mi ripresi e riordinai l’appartamento e salvai il mio povero cigolante
uccellino, misi in quel vuoto un frullatore. Era fatto
di parti stampate, per cui ci sarebbe voluto un
mesetto prima di dover ristampare nuovi ingranaggi e
altre parti in movimento. All’epoca, sapevo smontare
e riassemblare intatta qualsiasi cosa potesse essere
stampata.
Fu quando compii diciott’anni che loro furono pronti
a scarcerare Pa’. Lo avevo visitato tre volte — quando avevo compiuto dieci
anni, quando lui ne aveva compiuti cinquanta, e alla morte di Ma’. Erano
passati due anni da che l’avevo visto l’ultima volta, e non era in forma. Era
zoppo da una rissa che l’aveva coinvolto in prigione, e si guardava alle spalle
tanto spesso che sembrava un tic. Fui imbarazzata quando il minitaxi ci
lasciò davanti alla proprietà e cercai di tenere la mia distanza da quello
scheletro zoppicante, rovinato, mentre entravamo e salivamo le scale.
“Lanie”, disse facendomi sedere. “Sei una ragazza intelligente, lo so. Non sai
dove Pa’ possa trovare una stampatrice e della gelatina?”
Le mani mi si strinsero a pugno tanto forte che le unghie mi lasciarono segni.
Chiusi gli occhi. “Sei stato dieci anni in prigione, Pa’. Dieci. Anni. Vuoi
rischiarne altri dieci per frullatori e farmaci, per altri portatili e cappelli
firmati?”
Sorrise. “Non sono uno scemo, Lanie. Ho imparato la lezione. Non c’è
cappello o portatile per cui valga la pena di andare in prigione. Mai più, mai
più stamperò quella roba”. Aveva fatto del té, e lo beveva come del whisky,
un sorso e poi una lunga esalazione soddisfatta. Chiuse gli occhi e si lasciò
andare sulla sedia.
“Vieni un po’ qua, Lanie, te lo dico all’orecchio. Lascia che ti dica la cosa
che ho deciso di fare mentre ero dieci anni in gattabuia. Vieni, e ascolta il tuo
stupido Pa’.”
Mi sentii un po’ in colpa per averlo fatto arrabbiare. Era pazzo, era chiaro
ormai. Chissà che aveva passato in prigione. “Che cosa, Pa’?”, dissi
avvicinandomi.
“Lanie, voglio stampare altre stampatrici. Un sacco di altre stampatrici. Una
per ciascuno. Per questo sì che vale la pena andare in prigione. Per questo sì
che vale la pena fare qualsiasi cosa.”

Scroogled: Google controlla le vostre mail, i vostri video, il vostro calendario, le vostre ricerche… E se controllasse la vostra vita?

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Originale http://craphound.com/?p=1902

Traduzione a cura di http://collanediruggine.noblogs.org/post/2007/11/29/scroogled

Licenza CC: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/us/

Immagine di Stojance su Flickr

Scroogled: Google controlla le vostre mail, i vostri video, il vostro calendario, le vostre ricerche… E se controllasse la vostra vita?
di Cory Doctorow
Datemi due righe scritte dall’uomo più onesto, e io vi troverò di che impiccarlo.
Cardinale Richelieu
Su di voi non sappiamo abbastanza.
Eric Schmidt, CEO di Google
Greg atterrò all’aeroporto internazionale di San Francisco alle otto di sera, ma quando finalmente giunse in cima alla coda
alla dogana era passata mezzanotte. Era spuntato fuori dalla prima classe con la pelle color nocciola, la barba di due giorni e
i muscoli rilassati di un mese di spiaggia a Cabo (passato a fare immersioni tre volte a settimana e a girare attorno alle
studentesse francesi il resto del tempo). Quando era partito dalla città un mese prima era un rottame, con le spalle cascanti e
la pancia prominente. Adesso era un dio abbronzato e attirava gli sguardi ammirati delle hostess in fondo alla cabina.
Quattro ore di fila alla dogana dopo si era lentamente ritrasformato da dio in uomo. Il lieve stato di euforia si era esaurito, il
sudore gli colava giù per il culo e le spalle e il collo erano tanto tesi che al posto della schiena gli pareva di avere una
racchetta da tennis. Le batterie dell’iPod erano morte da un pezzo e a lui non era rimasto altro da fare che mettersi a origliare
i discorsi della coppia di mezz’età davanti a lui.
– Le meraviglie della tecnologia moderna, – disse la donna indicando con la spalla un cartello lì vicino: Immigration –
Powered by Google.
– Mi pareva che non dovessero iniziare prima del mese prossimo –. L’uomo si passava di continuo un sombrero dalla testa
alle mani.
Google alla frontiera. Cristo santo. Greg era andato via da Google sei mesi prima, liquidando le sue azioni per prendersi “un
po’ di tempo per me”, tempo che alla fine si rivelò meno appagante di quanto si fosse aspettato. Nei cinque mesi che
seguirono non fece quasi altro che riparare i PC degli amici, guardare la TV tutto il giorno e mettere su cinque chili, che si
spiegò con il fatto che era restato a casa invece di andare al Googleplex, con la sua palestra ben equipaggiata e aperta
ventiquattr’ore su ventiquattro.
Certo: doveva immaginarselo. Il governo USA aveva sperperato quindici miliardi di dollari in un programma di raccolta delle
impronte digitali e delle fotografie di chiunque passasse dalla frontiera e non aveva preso neanche un terrorista. Era chiaro
che il settore pubblico non era attrezzato per Effettuare Ricerche Appropriate.
L’agente del dipartimento di sicurezza aveva le borse sotto gli occhi e lanciava occhiate al suo monitor, picchiettando sulla
tastiera con dita come salsicciotti. Non stupiva che ci volessero quattro ore per uscire da quel dannato aeroporto.
– ’sera, – disse Greg consegnando all’uomo il suo passaporto sudaticcio. L’agente grugnì e glielo strappò di mano, poi si
mise a fissare lo schermo battendo sui tasti. Un sacco. Aveva un pezzetto di cibo seccato all’angolo della bocca e la sua
lingua spuntò fuori e lo leccò.
– Vogliamo parlare del giugno 1998? –
Greg distolse lo sguardo dal cartello Partenze. – Scusi? –
– Il 17 giugno 1998 ha pubblicato un messaggio su alt.burningman riguardo alla sua intenzione di partecipare a un festival.
Ha chiesto: “Ma i funghetti sono proprio un’idea tanto malvagia?” –
L’interrogatore della sala accessoria di controllo era piuttosto anziano, e tanto macilento che pareva fosse stato intagliato nel
legno. Le sue domande andarono molto più a fondo dei funghetti.
– Mi parli dei suoi hobby. Si interessa di modellini di razzi? –
– Come? –
– Modellini di razzi –.
– No, – disse Greg. – Assolutamente no –. Cominciava a capire dove volevano andare a parare.
L’uomo prese un appunto, pigiò qualche tasto. – Vede, se gliel’ho chiesto è perché noto un forte picco sulle inserzioni di
componenti di razzi in corrispondenza dei risultati delle sue ricerche e della sua casella di posta su Google –.
Greg avvertì uno spasmo alle viscere. – State controllando le mie ricerche e la mia posta elettronica? – Non toccava una
tastiera da un mese, ma sapeva che probabilmente quello che aveva inserito in quella barra di ricerca rivelava più cose su di
lui di quante non ne dicesse al suo strizzacervelli.
– Signore, stia tranquillo, la prego, – disse l’uomo con un fischio di scherno. – No, non sto controllando le sue ricerche:
sarebbe incostituzionale. Noi vediamo solo le pubblicità che compaiono quando legge la sua posta o effettua ricerche. Ho
una brochure che spiega tutto. Gliela darò appena avremo finito –.
– Ma le pubblicità non significano niente, – farfugliò Greg. – Mi spunta la pubblicità delle suonerie di Ann Coulter1 ogni
volta che ricevo una mail dal mio amico di Coulter, nell’Iowa! –
L’uomo annuì. – Capisco, signore. Ed è per questo che sono qui a parlare con lei. Secondo lei come mai le inserzioni dei
modellini di razzi compaiono tanto spesso? –
Greg si lambiccò il cervello. – Va bene, faccia così. Cerchi “fanatici del caffè” –. Era stato molto attivo in quel gruppo: li
aveva aiutati a costruire il sito per il loro servizio di abbonamento al “caffè del mese”. La miscela con cui lo avrebbero
lanciato si chiamava Carburante jet. “Carburante jet” e “lanciare”: probabilmente quelle parole avrebbero fatto sputar fuori a
Google delle inserzioni di modellini di razzi.
1 Ann Hart Coulter è una giornalista conservatrice statunitense nota per lo stile polemico, N.d.T.
Erano in dirittura d’arrivo quando l’uomo intagliato nel legno trovò le foto di Halloween. Erano sepolte nella terza
schermata dei risultati di ricerca su “Greg Lupinski”.
– Era una festa a tema sulla guerra del Golfo, – disse lui. – Al Castro –.
– E lei è vestito da…? –
– Attentatore suicida, – rispose lui imbarazzato. Bastò pronunciare quelle parole a farlo sobbalzare.
– Venga con me, signor Lupinski, – disse l’uomo.
Quando lo rilasciarono erano le tre di notte passate. Le sue valigie stavano abbandonate vicino al nastro dei bagagli. Le
raccolse e vide che erano state aperte e richiuse senza troppi complimenti. I vestiti spuntavano fuori dai bordi.
Quando tornò a casa si accorse che le sue finte statuette precolombiane erano state tutte rotte e al centro della sua camicia
messicana di cotone bianco nuova di zecca c’era un’inquietante impronta di scarpone. I suoi vestiti non odoravano più di
Messico. Odoravano di aeroporto.
Non sarebbe riuscito a addormentarsi. Assolutamente. Doveva parlarne con qualcuno. C’era solo una persona che avrebbe
capito. Per fortuna di solito a quell’ora era sveglia.
Maya aveva cominciato a lavorare da Google due anni dopo Greg. Era stata lei a convincerlo ad andare in Messico dopo che
aveva liquidato le azioni: dovunque potesse riavviare la sua esistenza, aveva detto.
Maya aveva due giganteschi labrador color cioccolato e una ragazza molto, molto paziente di nome Laurie che accettava
qualunque cosa tranne di essere trascinata in giro per il Dolores Park alle sei del mattino da centosessanta chili di sbavante
natura canina.
Mentre Greg le si avvicinava di corsa, Maya fece per prendere lo spray antiaggressione, poi, a scoppio ritardato, spalancò le
braccia, lasciando cadere i guinzagli e bloccandoseli sotto la scarpa. – Dov’è finito tutto il resto? Amico, sei diventato un
gran figo! –
Lui ricambiò l’abbraccio, rendendosi conto all’improvviso del suo odore dopo una notte di intrusioni via Google. – Maya, –
disse, – cosa sai di Google e del dipartimento di sicurezza nazionale? –
Non fece in tempo a finire la domanda che lei si irrigidì. Uno dei cani si mise a uggiolare. Lei si guardò attorno, poi indicò i
campi da tennis con un cenno del capo. – In cima al lampione laggiù; non guardare, – disse. – È uno dei nostri access point
WiFi municipali. Webcam grandangolari. Guarda dall’altra parte mentre parli –.
Nel grande schema delle cose, a Google non era costato tanto installare webcam in tutta la città. Soprattutto se si
considerava la sua capacità di proporre pubblicità a ognuno in base a dove si trovava. Greg non ci aveva fatto molto caso
quando le telecamere e tutti quegli access point erano stati aperti al pubblico: per un giorno intero sui blog si era scatenato il
putiferio mentre tutti giocavano con il nuovo giocattolo onniveggente zoomando su varie zone frequentate dalle prostitute,
ma dopo un po’ lo scalpore si era esaurito.
Sentendosi idiota, Greg bofonchiò: – Mi stai prendendo in giro –.
– Vieni con me, – disse lei girando le spalle al lampione.
I cani non furono felici di accorciare la passeggiata ed espressero il loro scontento in cucina mentre Maya preparava il caffè.
– Con il dipartimento di sicurezza siamo giunti a un compromesso, – disse prendendo il latte. – Loro hanno acconsentito a
non attingere più ai nostri archivi delle ricerche e noi abbiamo accettato di fargli vedere le pubblicità che comparivano nelle
schermate degli utenti –.
A Greg venne la nausea. – Perché? Non dirmi che Yahoo già lo stava facendo… –
– No, no. Be’, sì. Yahoo lo stava facendo. Ma non è questo il motivo per cui Google ha seguito l’esempio. Lo sai: i
repubblicani odiano Google. Da noi la maggioranza è iscritta al partito democratico, quindi facciamo quello che possiamo
per farci la pace prima che ci bastonino. Non sono I.I.P. – Informazioni Identificative Personali, lo smog tossico dell’età
dell’informazione. – Sono solo metadati. Quindi è solo un po’ malvagio –.
– E allora perché tutte queste precauzioni? –
Maya sospirò e abbracciò il labrador che le si strusciava sul ginocchio con l’enorme testa. – I servizi sono come pidocchi.
Arrivano dappertutto. Si presentano alle nostre riunioni. È come in un ministero sovietico. E le autorizzazioni speciali…
siamo divisi in due fronti: gli autorizzati e i sospetti. Sappiamo tutti chi non ha l’autorizzazione, ma nessuno sa perché. Io ce
l’ho. Per mia fortuna, essere lesbica non significa più essere esclusa. Un autorizzato non si degnerebbe mai di pranzare
assieme a un inautorizzabile –.
Greg era molto stanco. – Quindi direi che sono stato fortunato a uscire vivo dall’aeroporto. Avrei potuto finire tra gli
“scomparsi” se mi fosse andata male, eh? –
Maya lo guardò fisso. Lui aspettò una risposta.
– Che c’è? –
– Ora io ti dico una cosa, ma tu non dovrai mai farne parola con nessuno, va bene? –
– Ehm… non è che fai parte di qualche cellula terroristica, vero? –
– No, è meno semplice di così. La storia è questa: l’esame di sicurezza aeroportuale è come un varco doganale informatico.
Permette agli sbirri di restringere i criteri di ricerca. Quando ti trattengono alla frontiera per il controllo secondario, diventi
una “persona interessante” e non ti mollano mai più. Cercheranno minuziosamente il tuo viso e la tua andatura con le
webcam. Ti leggeranno la posta. Controlleranno le tue ricerche –.
– Non avevi detto che i giudici non glielo avrebbero permesso?… –
– I giudici non gli permetterebbero di passarti indiscriminatamente al vaglio di Google. Ma una volta che entri nel sistema, la
ricerca diventa selettiva. Tutto legale. E quando cominciano a studiarti con Google, qualcosa lo trovano sempre. Tutti i tuoi
dati finiscono in un grande imbuto che cerca “schemi sospetti” usando la devianza dalla norma statistica per inchiodarti –.
Greg si sentì come se dovesse vomitare. – Com’è potuto succedere? Google era un bel posto. “Non essere malvagio”,
giusto? Era il motto aziendale, e per Greg era stato uno dei motivi principali per prendere il diploma di dottorato in
informatica a Stanford e portarlo direttamente a Mountain View.
Maya rispose con una risata dura. – Non essere malvagio? Ma dai, Greg. La nostra lobby è formata dallo stesso manipolo di
criptofascisti che ha tentato di silurare Kerry. Il tabù della malvagità l’abbiamo rotto da un bel pezzo –.
Restarono zitti per un minuto.
– È tutto cominciato in Cina, – continuò lei infine. – Una volta che ce li abbiamo trasferiti, i server sono passati sotto la
giurisdizione cinese –.
Greg sospirò. Conosceva il raggio d’azione di Google fin troppo bene: ogni volta che visitavi una pagina con la pubblicità di
Google, usavi le mappe di Google o la posta di Google, e perfino se mandavi un messaggio a un utente di Gmail, la
compagnia raccoglieva diligentemente informazioni su di te. Di recente il software di ottimizzazione delle ricerche aveva
iniziato a usare i dati per adattare le ricerche Web al singolo utente. Lo strumento si era rivelato rivoluzionario per i
pubblicitari. Un governo autoritario avrebbe avuto altri obiettivi in mente.
– Ci hanno usato per costruire i profili di tutti quanti, – continuò Maya. – Quando c’era qualcuno che volevano arrestare,
venivano da noi e trovavano un motivo per pigliarli. Sulla rete non c’è quasi niente che tu possa fare che non sia illegale in
Cina –.
Greg scosse la testa. – Perché avevano tutto questo bisogno di mettere i server in Cina? –
– Il governo aveva detto che ci avrebbe bloccato comunque. E Yahoo era già lì –. Fecero entrambi una smorfia. A un certo
punto ai dipendenti di Google era venuta l’ossessione di Yahoo, e cominciarono a stare più attenti alle conseguenze della
competizione che alle prestazioni della loro azienda. – Allora ci siamo andati. Ma a molti di noi l’idea non è piaciuta –.
Maya fece un sorso di caffè e abbassò la voce. Uno dei cani stava annusando con insistenza sotto la sedia di Greg.
– Quasi subito i cinesi ci hanno chiesto di cominciare a censurare i risultati delle ricerche, – disse Maya. – Google ha
accettato. La versione aziendale era da morire dal ridere: “Non stiamo facendo del male: stiamo offrendo ai consumatori uno
strumento di ricerca migliore! Se gli mostrassimo dei risultati cui loro comunque non potrebbero accedere, rimarrebbero
soltanto frustrati. Sarebbe un’esperienza negativa di utilizzo” –.
– E adesso? – Greg allontanò un cane. Maya ne parve ferita.
– Adesso sei una persona interessante, Greg. Google ti pedina. Adesso vivi tutta la tua vita con qualcuno che ti sta
costantemente dietro una spalla a osservarti. Sai qual è l’obiettivo, no? “Organizzare le informazioni del mondo”. Ogni cosa.
Dagli ancora cinque anni e sapremo quanti stronzi c’erano nella tazza prima che tirassi lo sciacquone. Unisci il tutto
all’automatico sospetto per chiunque corrisponda al quadro statistico del tipo cattivo e sei… –
– Fottuto2 –.
– Completamente, – annuì lei.
Maya portò i due labrador nella camera da letto in fondo al corridoio. Lui la sentì discutere sottovoce con la compagna e lei
tornò sola.
– Posso risolvere io la cosa, – disse in un sussurro incalzante. – Quando i cinesi hanno cominciato a fare retate, con i miei
podmate abbiamo dedicato il nostro progetto del 20 per cento a metterglielo in culo –. (Tra le innovazioni apportate da
Google all’azienda c’era la regola per cui ogni dipendente doveva dedicare il 20 per cento del suo tempo a progetti personali
di nobili intenti.) “Lo chiamiamo Googlecleaner. Si infila nel data base e ti normalizza a livello statistico. Le tue ricerche, i
tuoi istogrammi su Gmail, i tuoi schemi di navigazione. Tutto. Greg, posso ripulirti. È l’unica soluzione –.
– Non voglio che ti cacci nei guai –.
Lei scosse la testa. – Io sono già condannata. Ogni giorno che passa da quando ho creato questa dannata cosa è tempo preso
in prestito: non ci vorrà molto prima che qualcuno faccia notare la mia esperienza e la mia storia al dipartimento di sicurezza
e poi, oh, non so. Qualunque cosa facciano alle persone come me nella guerra dei sostantivi astratti –.
A Greg tornò in mente l’aeroporto. La perquisizione. La sua camicia, l’impronta di scarpone nel centro.
– Fallo, – disse.
Il Googlecleaner fece miracoli. Greg lo capì dalle pubblicità che spuntarono accanto alle sue ricerche, pubblicità chiaramente
dirette a qualcun altro: dati sul design intelligente, corsi universitari online, un futuro senza terrore, un software per bloccare
i siti porno, il problema degli omosessuali, biglietti scontati per Toby Keith3. Erano gli effetti del programma di Maya. Era
chiaro che la nuova ricerca personalizzata di Google lo aveva classificato come tutta un’altra persona, un conservatore
timorato di Dio con un debole per la musica folk.
A lui la cosa stava benissimo.
Poi cliccò sulla rubrica e trovò che mancavano metà dei suoi contatti. La sua cartella della posta in entrata su Gmail aveva
tanti buchi quanto un tronco infestato dalle termiti. Il suo profilo su Orkut, normalizzato. Il calendario, le foto di famiglia, i
segnalibri: tutto vuoto. Prima di allora non si era mai reso davvero conto di quante cose della sua vita fossero migrate sul
web e si fossero infilate nelle webfarm di Google: tutta la sua identità online. Maya lo aveva ripulito da cima a fondo: era
diventato l’uomo invisibile.
Greg pestò assonnato i tasti del portatile che aveva accanto al letto, riportando in vita lo schermo. Lanciò un’occhiata
all’orologio lampeggiante sul pannello della scrivania: 4.13 del mattino! Cristo santo, chi era che veniva a bussare alla porta a
quell’ora?
Gridò: – Arrivo! – con voce impastata e si infilò una vestaglia e le pantofole. Ciabattò nel corridoio, accendendo una luce
dopo l’altra. Alla porta, strizzò l’occhio nello spioncino e vide Maya che gli ricambiava cupa lo sguardo.
Tolse la catena e il catenaccio e spalancò la porta. Maya si precipitò dentro alle sue spalle, seguita dai cani e dalla compagna.
Era madida di sudore e i capelli solitamente pettinati le stavano appiccicati alla fronte a ciocche. Si stropicciò gli occhi, che
erano rossi e cerchiati.
2 In Inglese “Scroogled”, gioco di parole tra “screw”, fottere, e Google: è questo l’intraducibile titolo del racconto, N.d.T.
3 Cantante folk conservatore, N.d.T.
– Fa’ i bagagli, – disse rauca.
– Come? –
Lo prese per le spalle. – Fa’ come ti dico, – disse.
– Dove vuoi…? –
– In Messico, probabilmente. Non lo so ancora. Fa’ i bagagli, cazzo –. Entrò in camera sua spingendolo di lato e si mise a
spalancare cassetti.
– Maya, – disse lui secco, – io non vengo da nessuna parte finché non mi dici che succede –.
Lei gli lanciò uno sguardo truce e si scostò i capelli dal viso. – Il Googlecleaner vive di vita propria. Dopo che ti ho ripulito,
l’ho spento e me ne sono andata. Era troppo pericoloso usarlo di nuovo. Però lui è comunque impostato per mandarmi
messaggi di conferma ogni volta che entra in funzione. Qualcuno lo ha usato sei volte per ripulire tre utenti molto specifici:
utenti che per puro caso sono quelli di membri della commissione commercio del senato candidati alla rielezione –.
– Da Google c’è qualcuno che getta fango sui senatori? –
– Non da Google. Proviene da qualche altra parte. Il gruppo di indirizzi IP di cui fa parte è registrato a Washington. E gli IP
sono tutti usati da utenti Gmail. Indovina a chi appartengono le caselle –.
– Hai sbirciato nelle caselle Gmail? –
– E va bene. Sì. Gli ho guardato la posta elettronica. Lo fanno tutti, in continuazione, e per motivi molto peggiori dei miei.
Ma fa’ attenzione: viene fuori che tutta quest’attività è diretta dalla nostra lobby. Stanno solo facendo il loro mestiere:
difendere gli interessi dell’azienda –.
Greg si sentiva il sangue pulsare nelle tempie. – Dovremmo parlarne con qualcuno –.
– Non servirà a niente. Sanno tutto di noi. Possono vedere ogni ricerca. Ogni e-mail. Tutte le volte che siamo stati ripresi da
una webcam. Chi fa parte della nostra comunità… sapevi che se su Orkut hai 15 amici è statisticamente provato che non sei a
più di tre passi da qualcuno che ha versato un contributo a una causa “terroristica”? Ti ricordi dell’aeroporto? Stavolta sarà
molto più dura –.
– Maya, – disse Greg, cercando di riprendere il controllo. – Andarsene in Messico non è un po’ esagerato? Licenziati e basta.
Possiamo fondare un’azienda nostra o qualcosa del genere. Questa è una follia –.
– Oggi sono venuti da me, – disse lei. – Due agenti della sezione politica del dipartimento di sicurezza. Sono rimasti ore. E
mi hanno fatto un sacco di domande pesanti –.
– Sul Googlecleaner –.
– Sui miei amici e sulla mia famiglia. Sulla mia cronologia di ricerca. Sulla mia storia personale –.
– Gesù –.
– Mi stavano lanciando un messaggio. Osservano ogni click e ogni ricerca. È ora di andare. Di mettersi fuori tiro –.
– In Messico Google ha una sede, lo sai, no? –.
– Dobbiamo andarcene, – disse lei, decisa.
– Laurie, tu che ne pensi? – chiese Greg.
Laurie diede un buffetto tra le spalle ai cani. – I miei se ne sono andati dalla Germania Est nel ’65. Mi hanno raccontato
della Stasi. La polizia segreta chiudeva tutto quello che c’era su di te nella tua cartella personale: se raccontavi una barzelletta
poco patriottica, tutto quanto. Che lo volesse o no, quello che Google ha creato non è diverso –.
– Greg, vieni? –
Lui guardò i cani e scosse la testa. – Ho dei pesos che avanzano, – disse. – Prendeteli. E state attente, va bene? –
Maya dava l’impressione di volerlo prendere a pugni. Poi, addolcendosi, lo strinse in un abbraccio feroce.
– Sta’ attento anche tu, – gli sussurrò in un orecchio.
Vennero a cercarlo dopo una settimana. A casa, nel cuore della notte, proprio come se l’era immaginato lui.
Due uomini si presentarono alla sua porta poco dopo le due del mattino. Uno rimase in silenzio sull’uscio. L’altro era del
tipo cordiale, basso e grinzoso, una giacca sportiva con una macchia su un risvolto e una bandiera americana sull’altro. –
Greg Lupinski, abbiamo motivo di credere che lei abbia violato la Legge sulla frode e gli abusi informatici, – disse per tutta
presentazione. – Nella fattispecie, per violazione di accesso protetto e per essersi procurato informazioni con questo genere
di condotta. Dieci anni per un incensurato. Ci risulta che quello che lei e la sua amica avete fatto con i nostri archivi di
Google sia classificabile come reato penale. E oh, chissà cosa verrà fuori al processo… tutta la roba che avete cancellato dal
suo profilo, tanto per cominciare –.
Greg si era figurato questa scena per una settimana. Si era immaginato ogni sorta di cose coraggiose da dire. Così aveva
trovato qualcosa da fare mentre aspettava notizie di Maya. Lei non aveva chiamato.
– Vorrei parlare con un avvocato, – fu tutto quello che riuscì a tirar fuori.
– Certo, può farlo, – disse il piccoletto. – Ma forse possiamo trovare un accordo migliore –.
Greg ritrovò la voce. – Vorrei vedere il suo distintivo, – balbettò.
Il viso da bassotto del tizio si illuminò mentre lui emetteva una risatina divertita. – Amico, io non sono uno sbirro, – ribatté.
– Sono un consulente. Google mi paga (la mia ditta rappresenta i suoi interessi a Washington) per stabilire rapporti. Ovvio
che non coinvolgeremmo la polizia senza averne prima parlato con lei. Lei è di famiglia. A dire il vero, avrei un’offerta da
farle –.
Greg si voltò verso la macchina del caffè e buttò il filtro usato.
– Io mi rivolgo ai giornali, – disse.
L’uomo annuì come se ci stesse riflettendo su. – Be’, certo. Potrebbe entrare negli uffici del Chronicle domattina stesso e
raccontare tutto. Loro cercherebbero una fonte per confermare la cosa. Non ne troveranno neanche una. E quando
tenteranno di cercarla, noi li troveremo. Quindi, amico, che ne dice di starmi a sentire? Il mio è un lavoro in cui si vince
soltanto. E io lo faccio molto bene –. Fece una pausa. – A proposito, questo caffè è eccellente, ma non vuole dare prima una
sciacquatina ai chicchi? Gli toglie un po’ di amaro e gli fa emettere l’olio. Ecco: mi passa un colino? –
Greg guardò l’uomo togliersi la giacca in silenzio e appenderla a una sedia della cucina, poi sbottonarsi i polsini e arrotolarsi
le maniche con cura, facendosi scivolare in tasca un orologio digitale da pochi soldi. Versò i chicchi dal macinino al colino di
Greg e li sciacquò dentro l’acquaio.
Era un po’ tozzo e pallidissimo, con la grazia sociale di un ingegnere elettrico. Sembrava un vero impiegato di Google, a dire
il vero, ossessionato com’era dalle minuzie. Se la cavava bene anche con il macinacaffè.
– Stiamo mettendo su una squadra per il Blocco 49… –
– Non esiste nessun Blocco 49, – disse Greg meccanicamente.
– Certo, – disse il tizio con un breve sorriso a denti stretti. – Non esiste nessun Blocco 49. Ma noi stiamo mettendo in piedi
una squadra per ottimizzare il Googlecleaner. Il codice di Maya non era molto efficiente, sa. È pieno di bug. Ci serve un
aggiornamento. Lei sarebbe l’uomo che fa per noi, e se tornasse da noi, quello che sa non avrebbe più importanza –.
– Incredibile, – disse Greg con una risata. – Se pensate che sia disposto ad aiutarvi a infangare candidati politici in cambio
dei vostri favori, siete più pazzi di quanto pensassi –.
– Greg, – disse l’uomo, – noi non stiamo infangando nessuno. Ripuliamo solo un po’ le cose. Per alcuni individui scelti. Sa
cosa voglio dire, vero? Qualunque profilo di Google risulta un po’ spaventoso a un esame approfondito. E in politica l’esame
approfondito è all’ordine del giorno. Candidarsi a qualche carica è come sottoporsi a una colonscopia pubblica –. Caricò la
caffettiera e spinse giù lo stantuffo, il viso distorto in una smorfia di solenne concentrazione. Greg recuperò due tazze da
caffè – tazze di Google, naturalmente – e le passò agli altri.
– Faremo per i nostri amici quel che Maya ha fatto per lei. Solo una pulitina. Non vogliamo fare altro che proteggere la loro
privacy. Tutto qui –.
Greg fece un sorso di caffè. – Che succede ai candidati che non ripulite? –
– Già, – disse il tizio lanciando a Greg un flebile sorriso. – Già, ha ragione. Per loro sarà un po’ dura –. Si frugò nella tasca
interna della giacca e tirò fuori diversi fogli ripiegati. Li lisciò e li appoggiò sul tavolo. – Questo è uno dei bravi ragazzi che
ha bisogno del nostro aiuto –. Era una stampata della cronologia di ricerca di un candidato che Greg aveva sostenuto
durante le ultime tre campagne elettorali.
– Il tipo se ne torna nella sua camera d’albergo dopo una giornata massacrante di campagna porta a porta, accende il
portatile e scrive “culi caldi” nella barra di ricerca. Bell’affare, eh? Per come la vediamo noi, permettere che questo impedisca
a un brav’uomo di continuare a servire il suo paese è semplicemente contrario ai principi dell’America –.
Greg annuì piano.
– Allora, aiuterà quest’uomo? – chiese il piccoletto.
– Sì –.
– Bene. C’è un’altra cosa. Abbiamo bisogno del suo aiuto per trovare Maya. Non aveva capito un tubo delle nostre
intenzioni e adesso pare che sia fuggita di galera. Quando avrà sentito le nostre ragioni tornerà subito indietro, non ho dubbi
–.
Lanciò un’occhiata alla cronologia di ricerca del candidato.
– Potrebbe darsi, – rispose Greg.
Il nuovo Congresso ci mise undici giorni di seduta ad approvare la Legge per la sicurezza e il controllo delle comunicazioni e
degli ipertesti, che autorizzava il dipartimento di sicurezza e l’NSA a esternalizzare fino all’80 per cento del lavoro di analisi e
raccolta dati a ditte private. In teoria, i contratti andavano assegnati con una gara d’appalto, ma dentro le sicure mura del
Blocco 49 di Google nessuno aveva dubbi su chi avrebbe vinto. Se Google avesse speso quindici miliardi di dollari per
prendere i cattivi alla frontiera, ci si poteva scommettere che li avrebbero presi… è che i governi proprio non sono attrezzati
per Effettuare Ricerche Appropriate.
Il mattino dopo Greg si esaminò con attenzione mentre si faceva la barba (ai tizi della sicurezza la barba incolta da hacker
non andava giù e non si facevano nessun problema a dirglielo) e si rese conto che quello era il suo primo giorno di lavoro
come agente segreto de facto per il governo degli Stati Uniti. Fino a che punto sarebbe stato orrendo? Non era meglio che a
occuparsi di queste cose fosse Google piuttosto che un goffo burocrate del dipartimento di sicurezza?
Quando parcheggiò nel Googleplex, tra le auto ibride e le rastrelliere per biciclette traboccanti, aveva preso una decisione.
Stava meditando su quale frullato biologico prendere in mensa quando il suo tesserino elettronico non aprì la porta del
Blocco 49. Il LED rosso lampeggiava monotono a ogni strisciata. In qualunque altro edificio avrebbe potuto mettersi alle
costole di qualcun altro, con tutta la gente che entrava e usciva di corsa. Ma i responsabili del 49 spuntavano solo per i pasti,
e a volte neanche allora.
Striscia, striscia, striscia. Di colpo udì una voce al suo fianco.
– Greg possiamo scambiare due parole, per favore? –
L’uomo grinzoso gli mise un braccio intorno alle spalle e Greg sentì l’odore del suo dopobarba agli agrumi. Era lo stesso
che usava il suo maestro di sub a Baja quando uscivano a bere la sera. Greg non si ricordava più il suo nome. Juan Carlos?
Juan Luis?
Il braccio che l’uomo gli aveva appoggiato sulla spalla era fermo, e lo allontanava dalla porta dirigendolo verso il prato
impeccabile, oltre il giardino di erbe aromatiche davanti alla cucina. – Le diamo un paio di giorni liberi, – disse.
Greg ebbe un’improvvisa fitta di ansia. – Perché? – Aveva fatto qualcosa di male? Sarebbe finito in prigione?
– È per Maya –. L’uomo lo fece girare e lo fissò negli occhi con il suo sguardo senza fondo. – Si è uccisa. In Guatemala. Mi
dispiace, Greg –.
Greg ebbe la sensazione di sfrecciare via, in un luogo a chilometri di distanza dalla terra, una ripresa del Googleplex su
Google Earth, dove vide se stesso e l’uomo grinzoso giù in basso come un paio di puntini, due pixel, minuscoli e
insignificanti. Ebbe voglia di strapparsi i capelli, di cadere in ginocchio e di piangere.
Da molto lontano si sentì dire: – Non ho bisogno di giorni liberi. Sto bene –.
Da molto lontano sentì l’uomo grinzoso insistere.
La discussione durò a lungo, poi i due pixel si spostarono nel Blocco 49, e la porta gli si richiuse alle spalle.

21 dicembre 2009

Nimby e i Saltatori Dimensionali

Filed under: Racconti — yanfry @ 03:07
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Italian Translation, 2006, by Giovanni Ella

Titolo originale Nimby and the dimension hoppers – http://craphound.com/?p=118

Licenza CC: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/

Nimby e i Saltatori Dimensionali

di Cory Doctorow


Non fraintendetemi – mi piace la natura incontaminata. Mi piacciono i cieli blu e sereni e la mia citta’ senza il frastuono delle macchine e dei martelli pneumatici. Non sono un tecnocrate. Ma porca miseria, a chi non piacerebbe un’arma personale totalmente
automatica, con guida al laser, penetrazione balistica e autoricaricante?
Bella modo di metterla, eh? L’ho finalmente imparata a memoria in una notte, da uno dei
saltatori, mentre era in piedi nella mia camera da letto e puntava il suo cannone addosso a
un altro saltatore, enumerando i suoi tanti lati positivi: “Questa e’ una blah-blah-blah a
guida laser. Gettate le armi e mettete le mani dietro la testa blah-blah-blah.” Avevo sentito
quel dialogo quasi ogni giorno nel corso di quel mese, ogni volta che i saltatori
dimensionali si erano catapultati in casa mia, l’avevano sforacchiata, avevano spaccato le
mie finestre, si erano buttati per strada, e si erano inseguiti l’un l’altro su e giu’ per il mio
povero villaggio, devastando tutto, mutilando i passanti e infine attraversando un varco
verso un’altra dimensione per continuare la’.
Stronzi.
Tutto quello che potevo fare era mantenere casa mia ben nutrita di sabbia per sostituire le
finestre. Qualche altra invasione di saltatori e sarei stato costretto a far uscire le sue
gambe e trasferirmi in spiaggia. E comunque, perche’ diavolo toccava sempre a casa mia?
Non sarei riuscito a tornare a dormire, quel poco era sicuro. Il vento autunnale che
soffiava attraverso la finestra spaccata portava un fragranza di acero e fieno e ricca
decomposizione, ma era anche abbastanza freddo da trasformare il mio respiro in vapore
e farmi venire la pelle d’oca da capo a piedi. Inoltre, il casino che stavano facendo nella
piazza era assordante, tutto tuoni supersonici e urla di case ferite. Una volta arrivata la
mattina i casalinghi avrebbero avuto il loro bel da fare.
Quindi trovai una vestaglia e delle pantofole e inciampicai fino in cucina, presi del caffe’ da
uno dei capezzoli e del latte da uno degli altri, e aspettai che il rumore si allontanasse fino
ai campi di biciclette prima di uscire e bussare alla porta di Sally.
La finestra della sua stanza da letto si spalanco’ e lei si sporse fuori. “Barry?” chiamo’.
“Si,” risposi, mentre le nuvole di respiro condensato oscuravano la sua faccia intontita dal
sonno. “Fammi entrare – sto congelando.”
La finestra si chiuse e un momento dopo la porta si apri’. Sally aveva un piumino pesante
attorno alle spalle come uno scialle, e sotto, una vestaglia sformata che arrivava ai suoi
lunghi piedi nudi. Sally e io avevamo avuto una storia, una volta. Era stata abbastanza
seria da farci unire le case e i letti. Arricciava sempre le dita dei piedi quando le facevo il
solletico. Siamo ancora amici – Cristo, le nostre case sono ancora una di fianco all’altra –
ma non le ho fatto arricciare le dita dei piedi da un paio d’anni.
“Gesu’, non e’ possibile che siano davvero le tre del matino, no?” disse mentre passavo
oltre di lei verso il calore della sua casa.
“E’ possibile e lo e’. I tutori della legge transdimensionali non conoscono orari umani.”
Crollai sul suo divano e misi i piedi sotto di me. “Ne ho avuto piu’ che abbastanza di
questa roba,” dissi, massaggiandomi le tempie.
Sally mi affondo’ accanto e mi butto’ sopra il suo piumino, prima di stringermi una spalla.
“Sta pesando a tutti noi. I Jefferson si trasferiscono. Si sono tenuti in contatto con i loro
cugini alle cascate del Niagara, e dicono che li’ di saltatori quasi non ce ne sono. Ma
quanto durera’, mi chiedo?”
“Oh, non lo so. I saltatori potrebbero andarsene domani. Non sappiamo se rimarranno per
sempre.”
“Ma certo che lo sappiamo. Non si puo’ rimettere il genio nella lampada. Adesso hanno i
saltatori-d – non c’e’ versi che non li usino.”
Non dissi niente, limitandomi a guardare attentamente il mosaico astratto che copriva il
muro del suo salotto: pezzi molto vicini di alluminio di scarto, plastiche troppo astruse per
darle da mangiare anche alle case piu’ rudi, pezzi di vetrate e vinile raggrinzito.
“E’ diverso,” lei disse. “abbiamo mandato a quel paese la tecnocrazia perche’ avevamo
trovato qualcosa che funzionava meglio. Nessuno ha deciso che fosse troppo pericolosa e
che andasse eliminata per il nostro stesso bene. E solo divenuta…obsoleta. E niente
rendera’ i saltatori-d obsoleti per quei tizi.” Fuori sulla piazza, gli scoppi continuarono,
punteggiati dai rumori peristaltici delle case che se la davano a gambe. La casa di Sally
ebbe un tremito di simpatia ,e il mosaico oscillo’.
Tenni la tazza lontana dal piumino mentre il caffe’ si rovesciava oltre il bordo e sul
pavimento, prima che la casa lo bevesse avidamente.
“Niente caffeina!” disse Sally mentre cercava di assorbire il caffe’ con le calze che aveva ai
piedi. “Altrimenti la casa mi diventa tutta nervosa.”
Aprii la bocca per dire qualcosa in merito alle teorie bislacche di Sally su come mantenere
una casa, ma poi la porta salto’ per aria dai cardini. Un saltatore con una stravagante
armatura tecnocrate rotolo’ nel soggiorno, si alzo’, fece partire tre colpi nella direzione
generale della porta (uno la perforo’, gli altri due sparsero carne di casa e bruciature sul
muro intorno ad essa).
Sally e io levitammo dai nostri posti e ci buttammo dietro al divano mentre un altro
saltatore entrava rotolando dalla porta e rispondeva al fuoco, mancando il suo avversario
ma in compenso spazzando via il mosaico. Il mio cuore mi martellava dentro al petto, e
tutti i miei altri cliches si trasferirono nelle mie parti basse.
“Stai bene?” urlai sopra il baccano.
“Credo,” disse Sally. Un pezzo di plastica appuntito era conficcato nel muro a qualche
centimetro dalla sua testa, e le sua casa si stava lamentando.
Un colpo casuale di tuono elettrico fece prendere fuoco al divano, e ce la demmo a
gambe. Il secondo pistolero stava ritirandosi di fronte alla serie di colpi del primo, il quale
stava nel contempo eseguendo delle manovre acrobatiche meccanicamente assistite
attorno al salotto e evitando i colpi sparati verso di lui. Il secondo uomo riusci’ nella fuga,
e il primo rimise l’arma nella fondina prima di voltarsi verso di noi.
“Scusate il casino, gente,” disse, attraverso la sua visiera.
Era senza parole. Sally, invece, si mise una mano intorno all’orecchio e urlo’ “Cosa?”
“Mi dispiace” disse l’uomo.
“Cosa?” ripete’ Sally. Si volto’ e disse “Ma tu capisci quello che dice?” Mi fece l’occhiolino
con l’occhio che era nascosto all’uomo.
“No,”dissi, lentamente. “Non capisco una parola.”
“Mi dispiace,” disse quello di nuovo, piu’ forte.
“Noi! Non! Ti! Capiamo!” disse Sally.
L’uomo si alzo’ la visiera con aria esasperata e disse “Mi dispiace, va bene?”
“Non quanto ti dispiacera’ fra un attimo,” disse Sally, e gli ficco’ un pollice in un occhio. Lui
urlo’ e alzo’ le mani verso la faccia nello steso momento in cui Sally gli portava via l’arma.
Batte’ il calcio contro il suo elmo per attirare la sua attenzione, e poi indietreggio’, tenendo
sempre la bocca dell’arma puntata verso di lui. Il pistolero la guardava con crescente
comprensione, alzando le mani, intrecciando le dita dietro la testa e blah blah blah.
“Stronzo,” disse lei.
#
Il suo nome era Larry Roman, il che spiegava la parola “ROMAN” che era scritta su ogni
pezzo della sua armatura. Togliergliela di dosso fu peggio che sgusciare un’aragosta, e ci
copri’ di insulti per tutto il tempo. Sally tenne l’arma puntata su di lui, impassibile, mentre
staccavo il carapace sudato e lo legavo ai polsi e alle caviglie.
La casa di lei era ferita gravemente, e non pensavo che ce l’avrebbe fatta. Di certo il fatto
che i muri stessero impallidendo verso un bianco dall’aspetto malato non prometteva
bene. Il saltatore-d era un congegno curioso e complesso, un pezzo romboidale di metallo
– titanio?- delle dimensioni di un avambraccio e coperto di un curioso strato di controlli
stampati. Lo posai con attenzione, non volendomi trovare per caso trasportato in un
universo parallelo.
Roman mi guardava dall’occhio buono – quello colpito da Sally era gonfio e chiuso – con
una mistura di risentimento e preoccupazione. “Non ti preoccupare,” dissi. “Non mi
mettero’ a giocarci.”
“Perche’ state facendo questo?” disse.
Inclinai la testa verso Sally. “E’ il suo show,” dissi.
Sally diede un calcio al suo divano. “Hai ucciso casa mia,” disse. “Voi stronzi continuate a
venire qui e a sparare a tutto, senza pensare per un secondo alla gente che vive qui –”
“Che vuoi dire, ‘continuiamo a venire qui?’ Questa e’ la prima volta che qualcuno ha mai
usato il dispositivo trans-d.”
Sally’ sbuffo’. “Certo, nella tua dimensione. Sei un po’ indietro col programma, ciccio. Sono
mesi che qui girano saltatori col grilletto facile.”
“Stai mentendo,” disse lui. Sally lo guardo’ freddamente. Avrei potuto dirgli io che non era
quello il modo di vincere un litigio con Sally. Non ho mai trovato un modo di farlo, ma il
rifiuto puro e semplice di sicuro non era quello che ci voleva. “Ascoltate, sono un agente di
polizia. L’uomo che sto inseguendo e’ un criminale pericoloso. Se non lo prendo, sarete
tutti in pericolo.”
“Davvero?” scandi’ lei. “Un pericolo maggiore di quello in cui ci mettete ogni volta che voi
stronzi ci sparate addosso?”
L’uomo degluti’. Privo della sua armatura, nudo se non per la sua biancheria hi-tech, si
stava alla fine spaventando. “Sto solo facendo il mio dovere. Faccio rispettare la legge. Voi
due finirete in un mucchio di guai. Voglio parlare con qualcuno in comando.”
Mi schiarii la voce. “Quello sarei io, per quest’anno. Sono il Sindaco.”
“Stai scherzando.”
“E’ una posizione amministrativa,” mi scusai. Avevo letto di manutenzione civica nei tempi
passati, e sapevo che fare il sindaco non era piu’ in quel modo. Comunque, sono un ottimo
negoziatore, ed e’ quello che ci vuole oggigiorno.
“Allora di me che ne farete?”
“Oh, qualcosa ci verra’ in mente senz’altro,” disse Sally.
#
La casa di Sally mori’ entro l’alba. Emise un tremendo sospiro, e i capezzoli iniziarono ad
emettere una sostanza nera. L’odore era nauseante e fortissimo, quindi portammo il
nostro prigioniero a casa mia.
Casa mia non era messa tanto meglio. Il vento freddo aveva soffiato dentro la finestra
della mia camera da letto tutta la notte, lasciando un velo di condensa sopra i muri delicati
e con poca corteccia della casa. Ma era esposta ad Est e mentre il sole saliva, una luce
burrosa trafisse le rimanenti finestre e riscaldo’ l’interno, e sentii la linfa della casa scorrere
dentro i muri. Ci facemmo un caffe’ e continuammo la discussione.
“Vi sto dicendo che Osborne e’ la’ fuori e ha la morale di uno sciacallo. Se non lo becco,
siamo tutti nei guai.” Roman stava ancora cercando di convincerci a ridargli la sua
attrezzatura e lasciarlo libero di inseguire il suo indiziato.
“Che ha fatto, ad ogni modo?” chiesi. Un certo senso di responsabilita’ civica mi stava
disturbando – e se il tizio fosse stato davvero pericoloso?
“Importa qualcosa?” chiese Sally. Stava giocando con l’attrezzatura di Roman mentre
schiacciava i miei sassolini ornamentali con i guanti potenziati. “Sono tutti bastardi.
Tecnocrati.” Sputo’ fuori la parola e ridusse in polvere un altro sassolino.
“E’ un monopolista,” disse Roman, come se quello spiegasse tutto. Dovevamo avere
un’aria confusa, perche’ continuo’ a parlare. “E’ lo Stratega Capo di una compagnia che
produce filtri di rilevanza per reti. Hanno disseminato malware per la rete che distrugge
ogni prodotto competitivo secondo gli standard. Se non verra’ portato davanti alla
giustizia, tutta la maledetta ecologia mediale gli apparterra’. Deve essere fermato!” Nei
suoi occhi brillo’ un lampo.
Sally e io ci scambiammo uno sguardo, e poi Sally scoppio’ a ridere. “Ha fatto cosa?”
“Ha praticato una forma di concorrenza sleale!”
“Be’, allora penso proprio che riusciremo a sopravvivere,” disse. Alzo’ di nuovo la pistola.
“Allora, Roman, tu affermi che voi avete semplicemente inventato il saltatore-d, eh?”
Aveva l’aria confusa. “Il dispositivo trans-d,” dissi io, ricordando come l’aveva chiamato lui
prima.
“Si,” disse. “e’ stato sviluppato da un ricercatore all’Universita’ di Waterloo e rubato da
Osborne per sfuggire ala giustizia. Abbiamo assemblato quello li’ solo per poterlo
inseguire.”
Aha. L’intero abitato era costruito sulle ossa dell’Universita’ di Waterloo – casa mia doveva
essere proprio dove una volta c’era il laboratorio di Fisica; dove e’ ancora, nelle dimensioni
tecnocratiche. Questo spiegava la mia popolarita’ nel mondo transdimensionale.
“Come lo si fa funzionare?” Sally chiese senza troppo interesse.
Non ci cascai, e nemmeno Roman. La versione di ‘senza troppo interesse’ di Sally era
molto piu’ intensa delle mie piu’ grandi anticipazioni.
“Non posso divulgare quella informazione,” disse Roman assumendo una espressione di
deciso attaccamento agli ordini.
“Maddai,” disse Sally, carezzando il saltatore-d. “E che male fa?”
Roman si mise a guardare con attenzione il pavimento.
“Prove ed errori sia, allora,” disse Sally, e poso’ un dito sopra uno dei molti comandi
stampati.
Roman gemette.
“Non farlo. Per favore,” disse. “Sono gia’ abbastanza nei casini cosi’.”
Sally fece finta di non averlo sentito. “Quanto potra’ mai essere difficile, dopotutto? Barry,
abbiamo studiato tutti e due tecnocrazia – cerchiamo di capirlo insieme. Ti sembra il
pulsante di accensione questo?”
“No, no,” dissi, capendo il suo gioco. “Non puoi premere bottoni a caso – potresti ritrovarti
catapultata in un’altra dimensione!” Roman sembro’ sollevato. “Dobbiamo prima smontarlo
per vedere come funziona. Ho qualche attrezzo nel capanno.” Roman gemette.
“E se quelli non funzionano,” continuo’ Sally, “sono sicura che questi guanti lo aprirebbero
in pochissimo. Dopotutto anche se rompiamo questo c’e’ sempre l’altro tizio – Osborne?
Anche lui ne ha uno.”
“Ve lo mostrero’ io,” disse Roman. “Ve lo mostrero’ io.”
#
Roman scappo’ mentre stavamo finendo di fare colazione. Fu colpa mia. Mi immaginavo
che una volta spiegatoci come funzionava il saltatore-d sarebbe stato definitivamente
sottomesso. Sally e io avemmo un mini-litigio per via di questo che mi fece sentire di
nuovo nostalgico e incoerente nei confronti del nostro passato romantico, e forse e’ quello
il motivo per il quale non ero in guardia. Era anche molto meno antisociale avere un ospite
slegato che si pappava grandi cucchiaiate di muesli seduto al mio tavolo di cucina.
Era piu’ furbo di quanto pensassi. Mascella quadrata, occhi blu (be’, blu e neri, grazie a
Sally), e esausto, mi aveva fatto venire un falso senso di sicurezza. Quando mi girai per
strizzare un’altra tazza di caffe’ dal muro della cucina, rovescio’ il tavolo con un calcio e
corse via. Sally gli sparo’ dietro un colpo, che colpi’ solo la mia gia’ esausta casa, fece
tirare lo sciacquone e precipitare dagli scaffali le mie cose a causa degli scossoni. In un
istante, se la stava filando per la strada.
“Sally!” Urlai, esasperato. “L’avresti potuto ammazzare!”
Era cinerea, e fissava la pistola. “Non volevo! E’ stato un riflesso!”
Ci infilammo entrambi le scarpe e gli corremmo dietro. Nel tempo che mi ci vole a
rivederlo, era gia’ ai campi di biciclette, mentre coglieva una mountain bike matura e
pedalava verso Guelph.
Un gruppo di spettatori si materializzarono accanto a noi, per la maggior parte della citta’,
vestiti con maglioni e guanti per via dell’aria gelata. Sally e io eravamo ancora in pigiama,
e vidi i fanatici del gossip cittadino prendere appunti mentalmente. Per cena, la rete di
casa sarebbe stata piena di notizie sulla nostra riconciliazione.
“Chi era quello?” mi chiese Lemuel. Era stato Sindaco prima di me, e gli piaceva ancora
interessarsi in tutto quello che succedeva in paese.
“Saltatore-d,” spiego’ Sally. “Tecnocrate. Ha ucciso casa mia.”
Lemuel fece schioccare la lingua e si gratto’ la faccia tonda. “Peccato. Anche casa dei
Beckers. Barry, faresti meglio a mandare qualcuno a Toronto a negoziare per degli altri
semi.”
“Grazie, Lemuel,” dissi, faticando per tenere l’irritazione lontana dal mio tono di voce. “Lo
faro’.”
Alzo’ le mani. “Non ti voglio dire come fare il tuo lavoro,” disse. “Sto solo cercando di
aiutarti. In tempi come questi, dobbiamo stare tutti uniti.”
“Voglio solo prendere quel figlio di puttana,” disse Sally.
“Be’, mi immagino che sara’ di nuovo nella sua dimensione natale tra poco,” disse Lemuel.
“Macche’,” dissi io. “Abbiamo – ahia.” Sally mi pesto’ un piede.
“Si, mi immagino,” disse. “E l’altro – nessuno ha visto dove e’ andato?”
“Oh, e’ andato verso Est,” disse Hezekiah. Era il figlio di Lemuel, e li avreste potuti
incastrare l’uno dentro l’altro come bambole russe: tondi, grezzi, panciuti e sinceri.
Hezekiah aveva un bel tocco con gli alberi di sigarette, e il suo boschetto era una fermata
turistica locale. “In direzione di Toronto, forse.”
“Va bene, allora,” disse Sally. “Passero’ parola. Non andra’ lontano. Andremo anche noi e
lo incroceremo.”
“E casa tua?” chiese Lemuel.
“Che?”
“Be’, devi spostare la tua roba alla svelta – i casalinghi la vorranno portare via per
concimare.”
“Digli che la mia roba la possono mettere a casa di Barry,” disse lei. Vidi volare gli sguardi
carichi di pettegolezzi.
#
Sally si mise al lavoro furiosamente sulla rete di casa mentre i casalinghi correvano dentro
e fuori da casa mia con bracciate e bracciate della sua roba. Continuavano a rivolgermi
quegli sguardi da ehi-bravo-ragazzo, ma sapevo che le loro congratulazioni erano
premature. Sally non si stava trasferendo per romanticismo – lo faceva per convenienza, la
sua motivazione principale in qualsiasi circostanza. Scriveva con lo stilo della rete di casa,
a schiena dritta, aspettando impazientemente che i suoi lontani corrispondenti usassero i
loro, fino a che ogni muro di casa mia non sarebbe stato coperto di pigmento temporaneo.
Nessuno aveva visto Osborne.
“Forse e’ tornato nella sua dimensione,” dissi io.
“No, e’ qui. Ho visto il suo saltatore-d prima che scappasse ieri notte – era da buttare.”
“Forse l’ha riparato,” dissi io.
“E forse no. E’ ora di finirla, Barry. Se non mi vuoi aiutare, dillo e basta. Ma smetti di
cercare di dissuadermi.” Sbatte’ sul tavolo lo stilo. “Ci stai o no?”
“Ci sto,” dissi io. “Ci sto.”
“Allora vestiti,” disse lei.
Ero gia’ vestito. Lo dissi.
“Mettiti l’armatura di Roman. Dobbiamo essere alla pari con Osborne se lo vogliamo
acciuffare, e quella roba non mi puo’ stare.”
“E Roman?”
“Tornera’,” disse. “Abbiamo il suo saltatore-d.”
#
“Com’e’ che l’avevo chiamata? “Stravagante armatura tecnocrate?” Forse dal di fuori. Ma
una volta che fui all’interno, cazzo. Ero un dio. Camminavo con stivali delle sette leghe,
stivali che mi permettevano di saltare fino alle cime degli alberi. La mia visione si
estendeva dall’infrarosso su fino all’ultravioletto e ancora piu’ su nello spettro
elettromagnetico, cosi’ da farmi vedere i segnali codificati chimicamente della rete di casa
che attraversavano i sistemi di root a cui erano connesse tutte le case, le dita di luce
polarizzata che si allungavano mentre il sole si abbassava verso Ovest. Il mio udito era
acuto come quello di un coniglio, il soffio del vento e i rumori delle creature della foresta e
lo scorrere della linfa, tutti delineati chiaramente e perfettamente triangolati. Ci mettemmo
sulle tracce di Roman, e affinai presto una strategia di ricerca: saltavo piu’ in alto che
potevo, girando su me stesso mentre cadevo, osservando la campagna in infrarosso alla
ricerca di qualsiasi cosa di forma umanoide. Una volta di nuovo sulla terra ferma, afferravo
Sally e facevo un grande balzo in avanti – non era il caso di aspettare che le sue gambe
lente e non assistite tenessero il passo con i miei giganteschi salti – solo per posarla di
nuovo giu’ e ripetere il procedimento.
Continuammo cosi’ per un’ora o due, cadendo in una piacevole sorta di reverie, cullati
dall’impetuoso tappeto impazzito delle foglie autunnali viste dall’alto. Avevo visto delle
lastre a colori nei vecchi libri tecnocrati, la terra vista da grandi altezze, dallo spazio, e di
tutte le cose che avevamo abbandonato insieme con la tecnocrazia, penso che quel volo
fosse la cosa che desideravo piu’ ferventemente.
Stava diventando freddo quando raggiungemmo Hamilton. Hamilton! In due ore! Ero
abituato a pensare ad Hamilton come un posto distante una pedalata di un giorno da
casa, ma eccomi li’, senza neanche il fiatone, e di gia’ li’. Raccolsi Sally fra le mie braccia e
saltai verso i confini della citta’, incantato dalla luce infuocata del tramonto sopra le
colline, quando qualcosa di veloce e duro mi investi’ dal fianco. Istintivamente, tenni piu’
stretta a me Sally, ma non era piu’ li’ – meno male, perche’ stringere Sally a quel modo
con l’assistenza dell’armatura avrebbe potuto spezzarle la spina dorsale.
Andai pesantemente a sbattere contro il terreno, mentre la sospensione dell’armatura
ululava. Mi rialzai in tempo per sentire Sally urlare. Guardai in alto, ed eccola dimenarsi tra
le braccia di Osborne, mentre saltava via con lei.
#
Si diressero ad Est, di nuovo verso il villaggio, e li inseguii come meglio potei, ma Osborne
usava l’armatura come se ci fosse nato dentro. Chissa’ come doveva essere la sua
dimensione, dove le persone saltavano in aria su gambe infinitamente forti e prive di
fatica, visione aumentata e riflessi che rendevano un gioco da ragazzi le banali realta’ della
geografia, del tempo e dello spazio.
Li persi a Flamborough. Il panico mi graffiava le viscere mentre li cercavo attraverso
l’intero spettro elettromagnetico, mentre mi consumavo le orecchie per distinguere le urla
esasperate di Sally. Un momento di riflessione mi disse che mi stavo facendo prendere dal
panico inutilmente: poteva esserci solo un posto dove stavano andando; al villaggio, a
casa mia, al saltatore-d.
Tranne che il saltatore-d l’avevo con me, inserito ordinatamente nella piastra della coscia
destra dell’armatura, in un piccolo spazio di stoccaggio. La piastra era piena di aggeggi di
sopravvivenza miniaturizzati e compatti di varia descrizione e un assortimento di pillole che
Roman aveva identificato come additivi alimentari. Osborne non se ne sarebbe andato
dalla mia dimensione tanto presto.
Mi avviai verso casa piu’ velocemente che potevo nell’oscurita’ quasi totale. Una luna da
raccolto di colore sanguigno sali’ lentamente mentre mi gettavo laggiu’, e mi persi per due
volte a causa delle strane ombre che la sua luce gettava dall’alto dei miei inusuali punti di
osservazione. Comunque, mi ci volle meno di un’ora viaggiando da solo, senza dovermi
preoccupare di cercare nessuno.
I biosistemi di casa mia gettavano un campo continuo di ombre infrarosse, rendendomi
impossibile capire se Sally e Osborne fossero dentro o no, quindi mi issai sull’edera
isolante sul lato nord e poi mi arrampicai come un ragno su per i muri, gettando occhiate
dentro le finestre.
Li trovai nella stanza Florida sul dietro della casa. Osborne era senza elmetto – aveva una
faccia sorprendentemente bonaria e da ragazzino, che mi colse con la guardia abbassata
per un attimo – e stava mangiando una fetta di torta di zucca dal mio frigo, con la pistola
puntata su Sally, che lo guardava con occhi infuocati da dove sedeva, sulla sedia di vimini
che mi aveva regalato per il mio compleanno mezzo decennio prima.
La biolampada da portico emetteva molta luce dentro la stanza, e sapevo che avrebbe
riflesso me stesso sulle finestre. Rassicurato, mi accucciai e passai sotto il bordo della
finestra, esplorando la situazione prima di decidere come agire. L’elmetto di Osborne era
sul frigo, guardandomi senza occhi. La pistola era nella sua mano sinistra, la torta nella
destra, e il suo dito era sul grilletto. Non riuscivo a pensare a un modo per disarmarlo
prima che sparasse a Sally. Avrei dovuto contrattare. Era il mio pezzo forte, ad ogni modo.
Ecco perche’ mi avevano eletto Sindaco: ero capace di fare affari con quei cazzoni di
Toronto per i semi di case; con quegli imbecilli di Hamilton per i frutti citronici a bassa
temperatura; con i circhi viaggianti che richiedevano bicicletta su bicicletta per una notte
di divertimenti. Ai tempi di Lemuel, il villaggio di biciclette non ne aveva quasi piu’ arrivato
Marzo, dato che tutto il raccolto veniva scambiato per le nostre necessita’. Dopo il mio
primo anno come Sindaco, ci tocco’ coltivare un altro granaio con ganci su tutti e quattro i
lati per metterci quelle di scorta. Avrei contrattato con Osborne per Sally, e gli avrei
strappato una promessa di starsene lontano dalla nostra dimensione per sempre in cambio
del suo dannato gadget tecnocrate.
Stavo alzando una mano guantata per bussare sul vetro quando qualcuno mi placco’ da
dietro.
Mi venne in mente di sopprimere il mio grugnito di sorpresa, mentre i girostabilizzatori
dell’armatura fecero il loro lavoro per tenermi in piedi con il peso dell’estraneo sulla mia
schiena.
Allungai una mano e presi il mio assalitore per una spalla, facendolo volteggiare sopra la
testa e per terra. Anche lui soppresse il suo gemito, e mentre lo guardavo nella falsa luce
del display del mio visore, mi accorsi che era Roman.
“Non puoi dargli il dispositivo trans-d,” sibilo’. La sua mano stava massaggiando la spalla.
Sentii una fitta di colpa – dovevo avergli fatto proprio male. Non avevo neanche tirato un
ceffone a qualcuno per dieci anni. E chi lo aveva mai fatto?
“Perche’ no?” chiesi.
“Lo devo consegnare alla giustizia. E’ l’unico con la chiave per i suoi agenti malware. Se ci
scappa adesso, non lo prenderemo piu’ – il mondo intero sara’ alla sua merce’.”
“Ha Sally,” dissi. “Se gli devo dare il saltatore-d per riaverla, e’ quello che faro’.”
Pensando: Che diavolo me ne frega del tuo mondo, ciccio?
Fece una smorfia e arrossi’. Aveva rubato un cappotto di lana e un paio di stivali di gomma
acerbi da chissa’ dove ma stava comunque indossando poco piu’ che la sua biancheria hitech
sotto, e le sue labbra erano blu cianotico. Io stavo al calduccio nella armatura
termoriscaldata. Dalla stanza Florida vennero delle voci attutite. Rischiai una sbirciatina.
Sally stava apostrofando ferocemente Osborne, anche se l’unica cosa comprensibile oltre il
vetro era il suo tono apocalittico. Osborne stava sorridendo.
Avrei potuto dirgli io che non era una grande strategia. Sembrava stesse ridacchiando, e
guardai orrendamente affascinato mentre Sally si alzo’ di scatto, ignorando la pistola, e gli
scaglio’ la sedia in testa. Alzo’ gli avambracci per difendersi e la sua pistola non punto’ piu’
Sally. Nessun pensiero, solo azione, e saltai attraverso la finestra, un eroe dei film
d’azione tecnocrate che rotolava fluidamente sugli stinchi, afferrando la sua pistola, e il
mio udito potenziato capto’ le grida di Sally, i grugniti di sorpresa di Osborne, e il
rumoroso passaggio di Roman attraverso le schegge appuntite della finestra. Cercai di
colpire la testa indifesa di Osborne, me era veloce, veloce come un mondo dove il tempo
e’ diviso in frazioni di secondo, veloce come una persona cresciuta in quel mondo, e io –
che non avevo mai misurato il tempo in un’unita’ piu’ piccole di una mattina – non ero
certo alla sua altezza.
Sparo’ furiosamente con la pistola, facendo urlare la casa. Prima di rendermene conto,
Osborne mi aveva bloccato a pancia sotto, con le braccia intrappolate sotto di me. Punto’
di nuovo la pistola contro Sally. “Che spreco,” sospiro’, e prese la mira. Mi agitai
furiosamente, cercando di liberarmi le braccia, e il saltatore-d mi cadde in mano. Senza
pensare, premetti piu’ pulsanti che potevo e l’universo fini’ a testa in giu’.
#
Ci fu un momento di panico mentre il mondo si confuse e poi torno’ a fuoco, il tutto piu’
veloce di quanto ci volesse a descriverlo, cosi’ veloce che lo assimilai solo post-facto, giorni
dopo. Osborne era ancora su di me, ed ebbi la presenza di spirito di buttarlo giu’ e alzarmi
in piedi, prendere la pistola e puntarla alla sua faccia senza protezioni.
Si alzo’ piano, mani dietro la testa, e mi guardo’ con uno strano ghigno.
“Che problema hai?” una voce disse dietro di me. Tenni la pistola puntata su Osborne e mi
girai a sinistra, cosi’ da vedere chi stesse parlando.
Ero io.
Io, in una vestaglia tessuta grezzamente e ciabatte, occhi pieni di sonno, magro fino allo
scheletrico, livido, tremante di rabbia. Osborne approfitto’ della mia confusione e salto’
verso la finestra di nuovo integra della stanza Florida. Gli sparai dietro due colpi e colpii la
casa, che urlo’. Sentii le cianfrusaglie muoversi sugli scaffali.
“Oh, per l’amor d’Iddio!” mi sentii gridare dietro di me, e poi dovetti combattere col peso
di me stesso sulla schiena. Delle mani stavano cercando di strapparmi l’elmetto.
Gentilmente rinfoderai la pistola, mi tolsi i guanti, e presi le mani tra le mie.
“Barry,” dissi.
“Come fai a conoscere il mio nome?”
“Scendi di li’, Barry, ok?”
Scese e mi girai per guardarlo. Con gesti lenti e deliberati slacciai l’elmetto e me lo tolsi.
“Hey, Barry,” dissi.
“Oh, per l’amor d’Iddio,” ripete’, piu’ esasperato che confuso. “L’avrei dovuto sapere.”
“Scusa,” dissi, ora mestamente. “Stavo cercando di salvare la vita di Sally.”
“Dio, perche’?”
“Che problema hai con Sally?”
“Ci ha venduto! A Toronto! L’intero villaggio non ha due biciclette in croce!”
“Toronto? Ma di quante case potremmo avere mai bisogno?”
Rise di un riso senza humour. “Case? Toronto non fa piu’ case. Aspetta li’,” disse, e si
avvio’ nei meandri della casa. Emerse un momento piu’ tardi con in braccio un fucile
enorme. Aveva un che di tecnocratico, simboli e linee rette, e sapevo che era stato
assemblato, non coltivato. La canna era quasi dello stesso diametro del mio pugno.
“Difesa civile,” disse. “Idea di Sally. Dobbiamo essere tutti pronti a respingere i razziatori
in ogni momento. Non lo senti?”
Respirai profondamente dal naso. C’era un miasma di ammoniaca e zolfo nell’aria, un
contrasto acuto con la freschezza autunnale alla quale ero abituato. “Che cos’e’?
“Fabbriche. Armi, armature, munizioni. Ormai non si fa che questo. Siamo tutti a razioni
dimezzate.” Indico’ la finestra rotta. “Il tuo amico sta per avere una bella sorpresa.”
Come se fosse stato quello il segnale, sentii una salva di tuoni in lontananza. L’altro Barry
sorrise cupamente. “Meno un saltatore-d,” disse. “Se fossi in te mi libererei di quel
completo prima che qualcuno spari a te.”
Cominciai a togliermi l’armatura di Roman quando sentimmo entrambi il suono di fuoco di
risposta, lo schianto della pistola tecnocrate quasi civilizzato se comparato alla flatulenza
degli archibugi di Sally. “E’ furbo,” dissi.
Ma l’altro Barry era impallidito e mi venne in mente che Osborne stava quasi certamente
sparando addosso a qualcuno che questo Barry considerava un amico. La sensibilita’ non
e’ mai stata uno dei miei punti forti.
Mi tolsi il resto dell’armatura e rimasi in piedi a rabbrividire nella fredda aria di Novembre.
“Andiamo,” dissi, brandendo la pistola di Roman.
“Ti servira’ un cappotto,” disse l’altro Barry. “Aspetta.” Scompari’ nella casa e torno’ con il
mio secondo miglior cappotto, quello con la grossa macchia di anni prima sulla parte
destra, rimasugli di una colazione a base di more troppo mature direttamente dalla pianta.
“Grazie,” dissi, sentendo in tremore di stranezza pericolosa quando le nostre mani si
toccarono.
#
L’altro Barry teneva una biolampada all’altezza della spalla, in testa, mentre io seguii,
notando che la sua camminata era a piedi piatti e irregolare, e poi notando che lo era
anche la mia, diventando sempre piu’ cosciente di me stesso. Quasi inciampai su me
stesso almeno una dozzina di volte cercando di correggermi prima di trovare la scena della
lotta di Osborne.
Era una piccola radura dove avevo spesso fatto dei picnic durante i giorni d’estate. La
lanterna illumino’ gli antichi tronchi, pieni di cicatrici di colpi di pistola, buchi con dei
carboni ardenti come occhi malevoli. Fatui fili di fumo danzavano nell’aria.
Al limite della radura trovammo Hezekiah riverso, il suo braccio sinistro un disastro di
carne fusa e schegge appuntite d’osso. Il suo respiro era spezzato e veloce, e i suoi occhi
erano spalancati e fissi. Li strofino’ con la mano buona quando ci vide. “Vedo doppio. La
maledetta arma mi e’ esplosa in mano. Cazzo di fucile. Cazzo.”
Nessuno di noi due sapeva niente di pronto soccorso, ma lasciai l’altro Barry inginocchiato
accanto a Hezekiah mentre ceravo aiuto, correndo attraverso i boschi oscuri ma familiari.
Da qualche parte la’ fuori, Osborne stava cercando il saltatore-d, una strada verso casa.
L’avevo nella tasca del cappotto macchiato. Se l’avesse trovato e usato, sarei rimasto
disperso qui, dove le armi ti esplodono in mano e Barry spera che Sally muoia.
Le strade del villaggio, normalmente un amichevole sorriso di casette ordinate, si era
tramutato in un ghigno cariato e pieno di buchi a causa dell’esodo degli abitanti del
villaggio per colpa dei saltatori-d. La clinica di Merry era ancora aperta, pero’, e mi
avvicinai con cautela, il collo che mi pizzicava a causa di occhiate immaginate.
Ero quasi arrivato quando Osborne mi placco’ dal fianco, per poi afferrarmi e saltare di
nuovo nel bosco. Volammo nel cielo notturno, il saltatore-d infilato nel fianco dal suo
abbraccio metallico, e quando atterrammo e mi lascio’ mi allontanai per terra, cercando di
creare della distanza fra me e lui.
“Dammelo,” disse, puntandomi l’arma addosso. La sua voce era fredda, e non dava spazio
ad obiezioni. Ma sono un negoziatore di professione. Pensai in fretta.
“Lo sto stringendo fra le dita in questo momento,” dissi, tenendolo da dentro la tasca.
“Basta che lo stringa e puf, me ne vado e tu sarai bloccato qui per sempre. Perche’ non
metti via la pistola e ne parliamo?”
Mi rivolse lo stesso ghigno che mi aveva dato nella stanza Florida. “Te ne vai con un
proiettile in corpo, morto o morente. Togliti il cappotto.”
“Io saro’ morto, ma tu sarai disperso. Se te lo do, io saro’ morto e tu non sarai disperso.
Metti via la pistola.”
“Niente discussioni. Il cappotto.” Sparo’ senza pensarci troppo nel terreno ai miei piedi,
ricoprendomi di zolle di terra tiepida. Le radici spezzate della rete di casa si contrassero
mentre cercavano di aggirare il danno. Ero cosi’ spaventato che quasi toccai il bottone, ma
tenni ferme le dita per pura forza di volonta’.
“La pistola,” dissi piu’ normalmente che potevo. La mia voce suono’ acuta. “Ascolta,” dissi.
“Ascolta, se continuiamo a discutere qui, arrivera’ qualcun altro, e con tutta probabilita’
saranno armati. Non tutte le armi di questo mondo scoppiano quando le usi,” sperai, “e
allora sarai nei guai. E anche io, visto che probabilmente allo stesso tempo tempo tu
sparerai a me. Mettila via, e ne parleremo. Arriveremo a una soluzione con la quale si puo’
convivere, se mi scusi l’espressione.”
Lentamente, rinfodero’ la pistola.
“Tirala via, no? Non lontano, solo un paio di metri. Sei veloce.”
Scosse la testa. “Bastardo nervoso,” disse, ma tiro’ la pistola a qualche metro di distanza.
“Ora,” dissi, cercando di nascondere il sospiro di sollievo. “Adesso risolviamo questa cosa.”
Lentamente, si alzo’ il visore e mi guardo’ come una merda.
“Per come la vedo io,” dissi, “Non c’e’ bisogno di scannarsi. Tu vuoi una dimensione in cui
muoverti liberamente per evitare la cattura. Noi abbiamo bisogno di fermare il flusso di
persone che arrivano e fanno saltare in aria le nostre case. Se ce la giochiamo bene,
possiamo costruire un rapporto a lungo termine che portera’ benefici a entrambi.”
“Cosa vuoi?” chiese.
“Niente che tu non ti possa permettere,” dissi io, e cominciai sinceramente a
mercanteggiare. “Prima di tutto, devi riportarmi dove mi hai preso. Devo trovare un
dottore per Hezekiah.”
Scosse la testa incredulo. “Che cazzo di spreco.”
“Prima Hezekiah, poi il resto. Lamentarsi ci fara’ solo perdere tempo. Andiamo.” Senza
troppe cerimonie, gli saltai in braccio. Picchiai due volte sul suo elmetto. “Verso le stelle”,
dissi. Lui mi strinse al petto e salto’ in alto.
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“Va bene,” dissi mentre la luna si nascondeva dietro l’orizzonte. Erano ore che
continuavamo, ma eravamo un bel pezzo avanti. “Tu ricevi diritto di passaggio – un posto
in cui nasconderti, un cambio di vestiti – nel nostro villaggio ogni volta che vuoi. In
cambio, noi torniamo la’ subito, e poi ti daro’ il saltatore-d. Ti porterai Roman con te – non
mi importa cosa ne fai di lui una volta che sarete nella vostra dimensione, ma nella mia
non gli deve succedere niente.”
“Va bene,” disse Osborne, controvoglia. Era un gigantesco passo in avanti – ci erano
volute due ore per convincerlo a non sparare a Roman appena lo avesse visto. Mi
immaginavo che nella sua dimensione, con la sua armatura addosso, e con la sua pistola,
Roman avrebbe avuto una possibilita’ in piu’.
“Solo un’ultima cosa,” dissi. Osborne bestemmio’ e sputo’ nella terra soffice della radura
dove Hezekiah si era fatto saltar via un braccio. “Solo una sciocchezzuola. La prossima
volta che visiterai il villaggio, ci porterai un dispositivo trans-d di scorta.”
“Perche’?” chiese.
“Non ti preoccupare,” dissi. “Ritienila pure buona fede. Se vuoi tornare al nostro villaggio e
avere la nostra cooperazione, ci dovrai portare un dispositivo trans-d, altrimenti non se ne
fa niente.”
L’accordo non fu immediato, ma venne gradualmente. La negoziazione e’ sempre almeno
in parte una guerra di attrito, e io sono un uomo paziente.
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“Difesa civile, eh?” dissi a Sally. Stava guardando attentamente il muro della sua nuova
casa, dove lei e qualcuno a Toronto stavano mettendo insieme dei piani per un archibugio
dall’aspetto familiare.
“Si,” disse lei, in un tono che diceva, levati dalle palle, ho da fare.
“Buona idea, dissi io.”
Quello la sorprese. Non mi riusciva spesso, e mi godetti il momento di gratificazione. “Lo
pensi?”
“Oh, certo,” dissi. “Lascia che ti faccia vedere.” Le porsi la mano, e mentre la prendeva,
toccai il saltatore-d nella mia tasca, e l’universo fini’ a testa in giu’.
Non importa quante volte visiti le dimensioni tecnocratiche, non finisce mai di colpirmi la
grazia dei passanti corazzati, i loro spaventosi salti oltre i palazzi scintillanti e le strade
elevate. Non importa quanto ci provi, non riesco a capire come facciano a non andare
l’uno addosso all’altro.
In questa versione della tecnocrazia, l’armaiolo si chiamava “Eddy’s”. L’ultimo che avevo
trovato si chiamava “Ed’s.” Piccole variazioni, ma la routine base era la stessa. Entrammo
pomposamente nel negozio, e salutai con piacere Ed/Eddy. “Salve,” dissi.
“Hey,” disse. “Posso mostrarvi qualcosa?”
La stretta di Sally nella mia mano era dolorosa come una morsa. Pensavo stesse uscendo
di testa per via della nostra avventura nel transverso, ma quando seguii il suo sguardo e
guardai oltre la finestra, mi resi conto che c’era qualcosa che non andava in questo posto.
Lungo la strada, tra gli scintillanti edifici a forma di losanga, c’era una casa che sarebbe
stata al suo posto nel villaggio, le radici della rete di casa che strisciavano sul cemento.
Davanti ad essa stavano due persone in vestiti di buon taglio e stivali di gomma maturi al
punto giusto. Persone familiari. Sally ed io. E li’, sulla strada, c’era un’altra coppia – Sally
ed io – che si avviava verso il negozio di Ed/Eddy. Riuscii a sorridere e a dire, “Che ne dice
di quell’arma personale totalmente automatica, con guida al laser, penetrazione balistica e
autoricaricante?”
Ed/Eddy me la passo’, e non appena ebbi il calcio saldamente in mano, presi il braccio di
Sally e toccai il saltatore-d. L’universo fini’ a testa in giu’ di nuovo, e fummo di nuovo a
casa, nella radura dove, qualche millimetro e una settimana piu’ in la’, Hezekiah aveva
perso il braccio.
Diedi la pistola a Sally. “E ce ne sono altre dove abbiamo preso questa,” dissi.
Stava tremando, e per un momento, pensai che mi avrebbe urlato addosso, ma poi rise, e
anche io.
“Hey,” dissi, “ti va di pranzare? Di solito c’e’ un ottimo ristorante italiano oltre i campi di
biciclette.”

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